martedì 18 settembre 2007

Gomorra - L'abito di Angelina Jolie

Gomorra - L'abito di Angelina Jolie

Mi hanno regalato il libro di Roberto Saviano Gomorra, mi è piaciuto, però, a mio avviso, ad un tratto ha voluto emulare il grande Indro Montanelli, enfatizzando i fatti.

In un capitolo, parla di un abito realizzato per Angelina Jolie in una fabbrica dell'interland nord di Napoli, fino a questo punto non ho dubbi che si tratta di verità, i grandi stilisti fanno realizzare i propri capi a fabbriche della zona. Dirò di più spesso gli abiti da uomo, vengono semplicemente "etichettati", nel senso che il responsabile dello stile, prende il capo prodotto dall'azienda, e apporta delle piccole modifiche: ridisegna le tasche, cambia il bottoni" a volte forniscono loro le stoffe, altre nemmeno quello. Però non si pensi che un abito del grande stilista può essere pagato la quarta parte senza l'etichetta "famosa". Chi realizza i capi di qualità, nella maggior parte dei casi è un'azienda che produce anche con il proprio marchio, e garantisco che quando si entra in una di queste aziende, ci si domanda ma c'è un passaggio segreto verso la Svizzera? Varcando un cancello, si passa dal degrado assoluto, a stabilimenti e uffici, di ordine e pulizia da fare invidia alle aziende della Silicon Valley. Si consideri che gli abiti di qualità, vengono prodotti da aziende strutturate, che pagano i propri dipendenti a contratto e vengo al dunque, i sarti (quando ancora si trovano, sarti veri), sono pagati al di sopra del contratto, pur di sottrarli al concorrente. Logicamente si parla si sarti e quando si parla di sarti, spesso si parla di uno specialista in una lavorazione di un abito, il cosiddetto "sarto completo", spesso supera, come stipendio un buon impiegato della stessa azienda. Quindi mi riesce difficile credere che un sarto che è in grado di realizzare un abito del genere non trovi lavoro regolare molto ben pagato.

Appena posso, racconto degli abiti realizzati per gli sceicchi e per le gli attori delle "notti degli oscar". Tutti fatti veri, garantiti.


Per pigrizia, ho fatto un copia e incolla da:

http://chartitalia.blogspot.com/2006/08/il-vestito-di-angelina-jolie.html

Gomorra - Il vestito di Angelina Jolie

"Io e Pasquale legammo molto. Quando parlava dei tessuti sembrava un profeta. Nei negozi era pignolissimo, non era possibile neanche passeggiare, si piantava davanti a ogni vetrina insultando il taglio di una giacca, vergognandosi al posto del sarto per il disegno di una gonna. Era capace di prevedere la durata della vita di un pantalone, di una giacca, di un vestito. Il numero esatto di lavaggi che avrebbero sopportato quei tessuti prima di ammosciarsi addosso.

Pasquale mi iniziò al complicato mondo dei tessuti. Avevo cominciato anche a fequentare casa sua. La sua famiglia, i suoi tre bambini, sua moglie mi davano allegria. Erano sempre attivi ma mai frenetici. Anche quella sera i bambini più piccoli correvano per la casa scalzi. Ma senza fare chiasso.

Pasquale aveva acceso la televisione, cambiando i vari canali era rimasto immobile davanti allo schermo, aveva strizzato gli occhi sull'immagine come un miope, anche se ci vedeva benissimo. Nessuno stava parlando ma il silenzio sembrò farsi più denso. Luisa, la moglie, intuì qualcosa, perchè si avvicinò alla televisione e si mise le mani sulla bocca, come quando si assiste a una cosa grave e si tappa un urlo.

In tv Angelina Jolie calpestava la passerella della notte degli Oscar indossando un completo di raso bianco, bellissimo. Uno di quelli su misura, di quelli che gli stilisti italiani, contendendosele, offrono alle star. Quel vestito l'aveva cucito Pasquale in una fabbrica in nero ad Arzano. Gli avevano detto solo: 'Questo va in America'. Pasquale aveva lavorato su centinaia di vestiti andati negli USA. Si ricordava bene quel tailleur bianco. Si ricordava ancora le misure, tutte le misure. Il taglio del collo, i millimetri dei polsi. E il pantalone. Aveva passato le mani nei tubi delle gambe e ricordava ancora il corpo nudo che ogni sarto immagina. Un nudo senza erotismo, disegnato nelle sue fasce muscolari, nelle sue ceramiche d'ossa. Un nudo da vestire, una mediazione tra muscolo, ossa e portamento. Era andato a prendersi la stoffa al porto, lo ricordava ancora bene quel giorno. Gliene avevano commissionato tre, di vestiti, senza dirgli altro. Sapevano a chi erano destinati, ma nessuno l'aveva avvertito.

In giappone il sarto della sposa dell'erede al trono aveva ricevuto un rinfresco di Stato; un giornale berlinese aveva dedicato sei pagine al sarto del primo cancelliere donna tedesco. Pagine in cui si parlava di qualità artigianale, di fantasia, di eleganza. Pasquale aveva una rabbia, ma una rabbia impossibile da cacciare fuori. Eppure la soddisfazione è un diritto, se esiste un merito questo dev'essere riconosciuto. Sentiva in fondo, in qualche parte del fegato o dello stomaco, di aver fatto un ottimo lavor e voleva poterlo dire. Sapeva di meritarsi qualcos'altro. Ma non gli era stato detto niente. Se n'era accorto per caso, per errore. Una rabbia fine a se stessa, che spunta carica di ragioni ma di queste non può far nulla. Non avrebbe potuto dirlo a nessuno. Neanche bisbigliarlo davanti al giornale del giorno dopo. Non poteva dire: 'Questo vestito l'ho fatto io'. Nessuno avrebbe ceduto ad una cosa del genere.

La notte degli Oscar, Angelina Jolie indossa un vestio fatto ad Arzano da Pasquale. Il massimo ed il minimo. Milioni di dollari e seicento euro al mese. Quando tutto ciò che è possibile è stato fatto, quando talento, bravura, maestria, impegno, vengono fusi in un'azione, in una prassi, quando tutto questo non serve a mutare nulla, allora viene la voglia di stendersi a pancia sotto sul nulla, nel nulla. Sparire lentamente, farsi passare i minuti sopra, affondarci dentro come fossero sabbie mobili. Smettere di fare qualsiasi cosa. E tirare, tirare a respirare. Nient'altro. Tanto nulla può mutare condizione: nemmeno un vestito fatto ad Angelina Jolie e indossato la notte degli Oscar.
"

1 commento:

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