domenica 10 giugno 2007

Scuola, Gramellini e Platone

Ho avuto incarico di intervenire in 4 scuole superiori (4° e 5° anno), per parlare, a grandi linee (in circa 20 minuti), di sicurezza nei cantieri edili

Non frequento la scuola da tanto, le ultime volte, circa 20 anni or sono, come insegnante.

Sono rimasto dell'abbigliamento scolastico, nulla di più di quanto vedo per strada. Ma osservare ragazzi che si presentano in un'aula con cappellini dotati di visiera, occhiali da sole e bermuda, stesi sulle sedie, mi ha lasciato, come oggi si usa dire, basito. A cosa servono cappellino con visiera e occhiali da sole in classe? Non credo che rappresenti ciò che era una volta l'eskimo, forse oggi, se nascessero nuovi contestatari, per distinguersi, dovrebbero presentarsi a scuola vestiti in giacca e cravatta.






9/6/2007

Il bullo e l'aguzzina

BUONGIORNO

di MASSIMO GRAMELLINI

Va bene mandare i professori in galera, ma non si farebbe prima a chiudere le scuole? Luoghi antiquati in cui sopravvivono esemplari come l’insegnante siciliana che ha costretto un allievo a scrivere sul quaderno per cento volte «Io sono un deficiente». Fortuna che c’è un giudice, a Palermo, e ha chiesto due mesi di carcere per l’aguzzina. Sì, chiudiamole, queste camere di tortura dove si proibisce a un povero fanciullo di dare simpaticamente del «finocchio» a un compagno, ribadendo il concetto con dovizia di particolari e di immagini. Quel talento aveva le carte in regola per sfondare in televisione e un domani in Parlamento, se solo la sadica istitutrice non fosse intervenuta a ingabbiarne la creatività dentro un castigo umiliante. E nel caso in cui il «finocchio» si fosse poi fatto del male, come in un’altra scuola qualche tempo fa? Che domande: sarebbe stato giusto accusare la prof di non aver saputo prevenire la tragedia. Scuole con professoresse simili non si possono tenere aperte un giorno di più. Di bizzarria in bizzarria, sono arrivate a costringere un giovanotto vivace e appena un po’ razzista ad autoinsultarsi per iscritto. Vogliono il ripristino delle punizioni corporali? Bene hanno fatto i genitori della vittima a risponderle per le rime. «Nostro figlio sarà un deficiente ma lei è una c...» E benissimo ha fatto il pubblico ministero che ha incriminato l’insegnante a non ritenere punibile la parolaccia di mamma e papà, considerandone l’alto valore educativo. Datemi retta: è meglio chiuderle, queste scuole. Soprattutto perché quel ragazzino fa la seconda media e ha scritto per cento volte «Io sono un deficente» senza la i.


da La Repubblica di Platone Libro VIII

«Ebbene, caro amico, qual è il carattere della tirannide? è pressoché evidente che si tratta di un trapasso dalla democrazia».
«Sì , è evidente».
«Quindi la tirannide nasce dalla democrazia allo stesso modo in cui questa nasce dall'oligarchia?» «In che modo?» «Il bene che i cittadini si proponevano», spiegai, «e per il quale avevano istituito l'oligarchia era la ricchezza eccessiva: non è vero?» «Sì ».
«Ma l'insaziabile brama di ricchezza e la noncuranza d'ogni altro valore a causa dell'affarismo l'hanno portata alla rovina».
«è vero» disse.
«E anche la disgregazione della democrazia non è provocata dall'insaziabile brama di ciò che si prefigge come bene?»
«E che cosa, secondo te, si prefigge?» «La libertà», risposi. «In una città democratica sentirai dire che questo è il bene supremo e quindi chi è libero per natura dovrebbe abitare soltanto là».
«In effetti si ripete spesso questa sentenza», osservò.
«Come stavo per chiederti», proseguii, «non sono dunque la brama insaziabile e la noncuranza d'ogni altro valore a trasformare questa forma di governo e a prepararla ad avere bisogno della tirannide?» «In che senso?», domandò.
«A mio parere, quando una città democratica, assetata di libertà, viene ad essere retta da cattivi coppieri, si ubriaca di libertà pura oltre il dovuto e perseguita i suoi governanti, a meno che non siano del tutto remissivi e non concedano molta libertà, accusandoli di essere scellerati e oligarchici».
«Sì », disse, «fanno questo».
«E ricopre d'insulti», continuai, «coloro che si mostrano obbedienti alle autorità, trattandoli come uomini di nessun valore, contenti di essere schiavi, mentre elogia e onora in privato e in pubblico i governanti che sono simili ai sudditi e i sudditi che sono simili ai governanti. In una tale città non è inevitabile che la libertà tocchi il suo culmine?» «Come no?»
«Inoltre, mio caro», aggiunsi, «l'anarchia penetra anche nelle case private e alla fine sorge persino tra gli animali».
«In che senso possiamo dire una cosa simile?», domandò.
«Nel senso», risposi, «che ad esempio un padre si abitua a diventare simile al figlio e a temere i propri figli, il figlio diventa simile al padre e pur di essere libero non ha né rispetto né timore dei genitori; un meteco (23) si eguaglia a un cittadino e un cittadino a un meteco, e lo stesso vale per uno straniero».
«In effetti accade questo», disse.
«E accadono altri piccoli inconvenienti dello stesso tipo: in una tale situazione un maestro ha paura degli allievi e li lusinga, gli allievi dal canto loro fanno poco conto sia dei maestri sia dei pedagoghi; insomma, i giovani si mettono alla pari dei più anziani e li contestano a parole e a fatti, mentre i vecchi, abbassandosi al livello dei giovani, si riempiono di facezie e smancerie, imitando i giovani per non sembrare spiacevoli e dispotici».

…..

«Dunque, amico mio», dissi, «questo mi sembra l'inizio bello e vigoroso da cui nasce la tirannide».
«Davvero vigoroso!», esclamò. «Ma che cosa succede dopo?» «Lo stesso malanno», continuai, «che si manifesta nell'oligarchia portandola alla rovina, nasce anche nella democrazia, più forte e violento a causa della licenza, e la asservisce. In effetti l'eccesso produce di solito un grande mutamento in senso contrario, nelle stagioni, nelle piante, negli animali e non ultimo anche nelle forme di governo».
«è naturale», disse.
«Infatti l'eccessiva libertà non sembra mutarsi in altro che nell'eccessiva schiavitù, tanto per il singolo quanto per la città».
«Sì , è naturale».
«Ed è quindi naturale», ripresi, «che la tirannide si formi solo dalla democrazia, ossia che dall'estrema libertà si sviluppi la schiavitù più grave e più feroce».
«è logico», disse.
«Tu però», continuai, «non mi stavi chiedendo questo, bensì qual è quello stesso malanno che nasce nell'oligarchia e nella democrazia asservendole».
«è vero», confermò.
«Ebbene», dissi, «io intendevo parlare di quella razza di uomini pigri e spendaccioni, i più coraggiosi in testa e i più vili al seguito: noi paragoniamo gli uni ai fuchi dotati di pungiglione, gli altri a quelli che ne sono privi».
«E con ragione!», esclamò.
«Questi due gruppi», ripresi, «nascono in ogni regime e vi creano scompiglio, come nel corpo la flemma e la bile;
perciò il buon medico e legislatore della città, non meno di un esperto apicultore, deve prendere per tempo le sue precauzioni, innanzitutto per impedire che nascano, e se nascono perché siano recisi al più presto assieme ai loro favi».
«Sì , per Zeus, proprio così !», disse.
«Quindi», proseguii, «per scorgere più distintamente il nostro obiettivo, procediamo in questo modo».
«Come?» «Dividiamo una città democratica in tre parti, cosa che del resto corrisponde alla realtà. La prima, se non erro, è quella classe che nasce qui non meno che nella città oligarchica a causa della licenza».
«è così ».
«Ma in questo regime è molto più violenta che in quello».
«In che senso?» «Là rimane inesperta e debole perché non viene apprezzata, anzi viene tenuta lontano dalle cariche;
nella democrazia invece questa, salvo pochi casi, è la classe dirigente e la sua parte più violenta parla e agisce, mentre gli altri, seduti attorno alle tribune, ronzano e non tollerano chi contraddice. Così in un simile regime tutto è amministrato da questa classe, con poche eccezioni».
«Precisamente», disse.
«C'è poi un'altra classe che si distingue sempre dal volgo».
«Quale?» «Quando tutti si danno agli affari, le persone dalla natura più equilibrata diventano di solito molto ricche».
«è logico».
«E da lì , penso, i fuchi ricavano facilmente la massima quantità di miele da suggere».
«E come potrebbero suggere da chi ha poche sostanze?», replicò.
«E questi, credo, sono i ricchi che vengono chiamati erba dei fuchi».
«Più o meno», disse.
«La terza classe sarebbe il popolo, composto da chi lavora in proprio e non partecipa agli affari pubblici, gente che non possiede un patrimonio cospicuo: ma nella democrazia questa è la classe più numerosa e più potente, quando si coalizza».
«In effetti è così », disse; «ma non vuole farlo spesso, se non riceve un po' di miele!».
«Eppure ne riceve sempre», replicai, «ogni volta che i governanti spogliano i cittadini abbienti dei loro averi e ne distribuiscono al popolo, tenendo per sé la parte maggiore».
«Sì , lo riceve in questo modo», disse.
Perciò le vittime di queste spoliazioni sono costrette a difendersi credo, parlando e agendo tra il popolo come meglio possono».
«Come no?» «E allora, anche se non aspirano alla rivoluzione, sono accusati dagli altri di tendere insidie al popoì o e di essere oligarchici».
«Certo».
«E alla fine, quando vedono che il popoì o tenta di danneggiarli non di sua iniziativa, ma perché è ignorante e viene ingannato dai calunniatori, allora, che lo vogliano o no, diventano veramente oligarchici non di loro iniziativa, ma perché quel fuco, pungendoli, produce anche questo male».
«Senza dubbio».
«Allora nascono le denunce, i processi e le contese reciproche».
«Appunto».
«Ma il popolo non ha sempre l'abitudine di mettere alla sua testa un solo individuo, di cui alimenta e accresce il potere?» «Sì , ha questa abitudine».

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